CARLO VANNINI
Cupi fantasmi di una vita perduta
Carlo Vannini (Reggio Emilia, 1956), dopo essersi affermato nel campo dell’immagine pubblicitaria e della riproduzione di opere d’arte, e di campagne fotografiche per libri illustrati pubblicati da editori di qualità, ha dimostrato di potere navigare con perizia e creatività anche nel campo della fotografia artistica. Basterebbe qui ricordare le sue immagini di sculture della Cattedrale di Reggio, esposte alcuni anni fa nell’Oratorio della Chiesa di San Filippo, e quelle di oggetti e teche presenti nelle collezioni dei nostri Musei Civici, nelle quali Vannini rivelava, attraverso un particolare, colto dentro la contesa perenne tra luce e ombra, la verità segreta di quelle forme, pur non sciogliendone il mistero, ma anzi caricandolo di nuove, arcane suggestioni. In queste immagini, scattate nella Sardegna meridionale, di villaggi, di tonnare e di complessi industriali abbandonati, spesso in conseguenza di vicende economiche, Vannini coglie – secondo le antiche leggi della fotografia – l’arresto del tempo: restano, sui muri, le tracce del passaggio dell’uomo, ma la sua presenza fisica si è ormai dissolta. Eppure questi cupi fantasmi di architetture e geometrie, questi ritmici squarci di porte e di finestre, queste luci che accecano e queste ombre impenetrabili, non chiedono l’oblio, non sollecitano l’intervento di una mano pietosa che, cancellandole, ponga fine al degrado e alla solitudine, ma suscitano il desiderio di una conservazione e di un ritorno alla vita, che, nella vegetazione rigogliosa che continua a crescere e s’insinua dentro di loro, si esprime con la forza di ciò che è perenne.