DOMENICO GRENCI
Gli inafferrabili enigmi del volto femminile
I primi esordi espositivi di Domenico Grenci (Ardore, Reggio Calabria, 1981) risalgono a dieci anni fa, quando ormai si era trasferito a Bologna, dove tuttora vive e lavora, per frequentare l’Accademia di Belle Arti – tra gli insegnanti che più hanno segnato la sua formazione, lui ama ricordare in particolare Davide Benati. La strada che ha imboccato da anni, e che gli ha valso l’interesse e il consenso di collezionisti italiani e stranieri, e la partecipazione alla 54esima edizione della Biennale di Venezia nel 2011, si è venuta caratterizzando per una quasi ossessiva indagine sul volto della donna, in ogni sua possibile declinazione, dalla donna sicura di sé, che con baldanza pare volere lanciare la sua sfida al mondo, alla ritrosia e alla timidezza di colei che abbassa gli occhi, temendo di non potere reggere l’altrui sguardo. Grenci è così venuto rappresentando l’irriducibile varietà del volto femminile, la sua unicità, il suo costante fascino, al di là delle manipolazioni del trucco che talvolta ne celano l’autenticità e l’intima verità. (Da qualche tempo Domenico si sta cimentando con il motivo, altrettanto infinito, del paesaggio.) Disegnatore di sicuro talento – che pare guardare, tra le tante possibili suggestioni che potrebbero citarsi, a Egon Schiele, Manolo Valdés e Marlene Dumas –, Grenci ha scelto di utilizzare un materiale del tutto insolito, il bitume, le cui cupezze lasciano, dentro il corpo e ai margini della forma, aloni di mistero, essudazioni che ne prolungano l’eco, stemperando le peculiari sembianze di un volto nel vuoto della tela o della carta, fino a farle diventare una sorta di apparizione che ci affascina e che siamo indotti a scrutare e a introiettare, prima che si dissolva, perdendone per sempre la memoria.